Tratto dal nuovo libro "Austera Diabolepsia" di Prosdocimo Giovanni [mad.giovanni@yahoo.it]
LA CORNICE DELL’EDEN
Il cielo disegnava l’immagine sottostante a lei, illuminando l’ombra delle fronde; si spogliò dalle incertezze e camminò inoltrandosi in quel sentiero, tutto le sembrò così famigliare… ondeggiava a passi leggeri, quasi trasportata da piume nel vento, mentre gli alberi si aprivano come fatati al suo passaggio. Si fermò di colpo, impaurita:
corro cado le ginocchia sanguinano il volto straziato dal dolore sguardi sfuggenti nessuno capisce mi getto nel fango ingoio fango non respiro ho freddo è umido l’alito della morte mi travolge mi piega tremo traballante mi rialzo fuggo corro attraverso foreste che mi segnano il volto da bambina non vedo gli occhi gonfi di lacrime corro e il corpo si trasforma foglie fango muschio legno rocce è giorno il sole mi brucia il sangue martella la testa mi scoppia è notte la luna è piena i lupi strazianti malinconici nervosi perfidi la paura colpisce allo stomaco ho sete non c’è alba né tramonto le serpi mi mordono staccano brandelli di carne il tempo va una sorgente l’acqua disseta mi rinfresco sono tranquilla mi specchio nell’acqua non più bambina non più pulita ricoperta di lividi della mia giovinezza perduta non paladina… l’ennesima vittima,
si accasciò al suolo umido, odorante di muschio e vegetazione, catatonica non riuscì a distogliere lo sguardo dal maestoso edificio che si ergeva al suo campo visivo. Confluirono le forze dell’adrenalina, date dalla curiosità di raggiungere il punto d’entrata di quell’ardito capogiro delle sue brame. Si offuscò nel buio il suo ricordo del mondo, come l’uscio alle sue spalle: addentrandosi… Una folata trasformò le sue fogge in appariscenti tessuti sensuali, inusuali, sinuosi. Si raccolse i capelli con spine di rosa e radiosa scese quell’enorme scalinata di bianco marmo, ambiziosa e vanitosa si osservava in quell’enorme specchio a parete che la rifletteva donna complice, odorante di dolce vaniglia, curiosando pallida dai sudori e imbarazzata da tenere poesie si innamorò di se stessa e della propria nuova serenità. Si fregò le mani curate come proteggersi da quell’istinto, fiorendo il suo sorriso ad ogni passo.
nel sogno che
intravede un desiderio,
fragili immagini si inebriano nel cambiamento.
In un sollievo osservò i colori cambiare nella sua ingenuità, rabbrividì al tramonto che apparecchiava l’enorme cenacolo, giocondo nella sua fine. Più grandi dell’amore, più grandi del desiderio erano le immagini che richiamavano la sua attenzione, si accomodò, sollevandosi la veste sino alle ginocchia avvertendo gli aromi che giungevano tesi e diretti al suo appetito. Prese dolcemente tra le dita, il calice trasparente posto davanti a lei iniziando a centellinarlo sempre più avidamente e finì per intingerci le narici goffamente. Si asciugò i lineamenti intrinseci di rossastro vino con un lembo dell’enorme tovaglia ornandola, distraendola un po’ da queste precise grazie. Si alzò attratta dal bagliore emanato dal fuoco che ardeva nel focolare…
ho capito come dovevo stare
cosa dovevo fare per non farmi male
cosa dovevo fare se non è qui che volevo restare
il tempo passa e mi accorgo che
io non sono mai stato inutile
qui non c’è nessuno che pensa a me
qui non c’è nessuno che piange con me
ma non lo so
per questo adesso ascolterò
Si piegò inerme spinta dal suo non ascoltarsi nel viaggio verso i suoi inferi. Il suo lamento si propagava nell’eco di quel vuoto incidendosi nella rassegnazione di parole senza volto. Innocua la sua fantasia rincorreva quella spirale di realtà disegnatali dal vociare sempre più cartaceo, che conviveva tra le paranoie di un giro in tondo, scivolato in me. L’amore che volta le spalle al respiro di un sogno irraggiungibile, nuotando tra i rimorsi del se, nascondendo nel silenzio un’aurora di grazie nel pianto. Se potessi rinascere, migliorerei solo per starti accanto, all’alba di un fato di vita. Respirava affannosamente, sbronza nelle lagne che interagiscono con lei, dispensandole incertezza. Nel martirio pietoso riguardava cos’era diventata ricercando la soluzione, nella successione d’istanti, ormai deteriorati da futile speranza. Mi dispiace, sono ciò che disdegni e non posso non vedere.
_Stream of consciousness [flusso di coscienza]; tratto dal diario personale di Mazzucato Francesca.
_Parte di testo della canzone Prima scritta da freakMatteo; tratta dall’album 12.2003 GliAmiciDituaMadre.
LA CORNICE DELL’EDEN
Il cielo disegnava l’immagine sottostante a lei, illuminando l’ombra delle fronde; si spogliò dalle incertezze e camminò inoltrandosi in quel sentiero, tutto le sembrò così famigliare… ondeggiava a passi leggeri, quasi trasportata da piume nel vento, mentre gli alberi si aprivano come fatati al suo passaggio. Si fermò di colpo, impaurita:
corro cado le ginocchia sanguinano il volto straziato dal dolore sguardi sfuggenti nessuno capisce mi getto nel fango ingoio fango non respiro ho freddo è umido l’alito della morte mi travolge mi piega tremo traballante mi rialzo fuggo corro attraverso foreste che mi segnano il volto da bambina non vedo gli occhi gonfi di lacrime corro e il corpo si trasforma foglie fango muschio legno rocce è giorno il sole mi brucia il sangue martella la testa mi scoppia è notte la luna è piena i lupi strazianti malinconici nervosi perfidi la paura colpisce allo stomaco ho sete non c’è alba né tramonto le serpi mi mordono staccano brandelli di carne il tempo va una sorgente l’acqua disseta mi rinfresco sono tranquilla mi specchio nell’acqua non più bambina non più pulita ricoperta di lividi della mia giovinezza perduta non paladina… l’ennesima vittima,
si accasciò al suolo umido, odorante di muschio e vegetazione, catatonica non riuscì a distogliere lo sguardo dal maestoso edificio che si ergeva al suo campo visivo. Confluirono le forze dell’adrenalina, date dalla curiosità di raggiungere il punto d’entrata di quell’ardito capogiro delle sue brame. Si offuscò nel buio il suo ricordo del mondo, come l’uscio alle sue spalle: addentrandosi… Una folata trasformò le sue fogge in appariscenti tessuti sensuali, inusuali, sinuosi. Si raccolse i capelli con spine di rosa e radiosa scese quell’enorme scalinata di bianco marmo, ambiziosa e vanitosa si osservava in quell’enorme specchio a parete che la rifletteva donna complice, odorante di dolce vaniglia, curiosando pallida dai sudori e imbarazzata da tenere poesie si innamorò di se stessa e della propria nuova serenità. Si fregò le mani curate come proteggersi da quell’istinto, fiorendo il suo sorriso ad ogni passo.
nel sogno che
intravede un desiderio,
fragili immagini si inebriano nel cambiamento.
In un sollievo osservò i colori cambiare nella sua ingenuità, rabbrividì al tramonto che apparecchiava l’enorme cenacolo, giocondo nella sua fine. Più grandi dell’amore, più grandi del desiderio erano le immagini che richiamavano la sua attenzione, si accomodò, sollevandosi la veste sino alle ginocchia avvertendo gli aromi che giungevano tesi e diretti al suo appetito. Prese dolcemente tra le dita, il calice trasparente posto davanti a lei iniziando a centellinarlo sempre più avidamente e finì per intingerci le narici goffamente. Si asciugò i lineamenti intrinseci di rossastro vino con un lembo dell’enorme tovaglia ornandola, distraendola un po’ da queste precise grazie. Si alzò attratta dal bagliore emanato dal fuoco che ardeva nel focolare…
ho capito come dovevo stare
cosa dovevo fare per non farmi male
cosa dovevo fare se non è qui che volevo restare
il tempo passa e mi accorgo che
io non sono mai stato inutile
qui non c’è nessuno che pensa a me
qui non c’è nessuno che piange con me
ma non lo so
per questo adesso ascolterò
Si piegò inerme spinta dal suo non ascoltarsi nel viaggio verso i suoi inferi. Il suo lamento si propagava nell’eco di quel vuoto incidendosi nella rassegnazione di parole senza volto. Innocua la sua fantasia rincorreva quella spirale di realtà disegnatali dal vociare sempre più cartaceo, che conviveva tra le paranoie di un giro in tondo, scivolato in me. L’amore che volta le spalle al respiro di un sogno irraggiungibile, nuotando tra i rimorsi del se, nascondendo nel silenzio un’aurora di grazie nel pianto. Se potessi rinascere, migliorerei solo per starti accanto, all’alba di un fato di vita. Respirava affannosamente, sbronza nelle lagne che interagiscono con lei, dispensandole incertezza. Nel martirio pietoso riguardava cos’era diventata ricercando la soluzione, nella successione d’istanti, ormai deteriorati da futile speranza. Mi dispiace, sono ciò che disdegni e non posso non vedere.
_Stream of consciousness [flusso di coscienza]; tratto dal diario personale di Mazzucato Francesca.
_Parte di testo della canzone Prima scritta da freakMatteo; tratta dall’album 12.2003 GliAmiciDituaMadre.
2 Comments:
...spero che l'amore non volti le spalle al respiro di un sogno irraggiungibile...
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